PARCO CHIGI

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    ARICCIA: RIEMERGONO RESTI DEL FORUM ARICINUM SULL’APPIA ANTICA

    ARICCIA: RIEMERGONO RESTI DEL FORUM ARICINUM SULL’APPIA ANTICA

    Recentemente, in occasione dei lavori di allargamento dello svincolo tra via di Mezzo e via del Crocifisso con l’Appia Antica, nella valle di Ariccia (Vallericcia), sono venuti alla luce resti di fabbriche e manufatti da mettere in relazione con il foro di Aricia, insigne città latina e poi municipio romano che diede i natali alla famiglia materna di Augusto, gli Azii.[1]

    Tali ritrovamenti, emersi in un piccolo tratto praticamente inesplorato per la presenza di un manufatto rustico poi demolito, rivestono un notevole interesse finalizzato alla conoscenza della topografia della zona, integrando la dettagliata analisi di Manlio Lilli confluita nel suo volume del 2002.[2]

    Gli scavi, eseguiti dall’impresa appaltante sotto la direzione della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area Metropolitana di Roma, a ridosso dell’antica strada consolare, hanno fatto riemergere il basamento di costruzioni di età tardo repubblicana (I sec. d.C. circa), con murature in opera incerta, opera pseudo-reticolata e blocchi in opera quadrata (fig. 1).

    1. Scavi archeologici nella valle di Ariccia, detta Vallericcia (foto F. Petrucci, 19 gennaio 2021)

    Sono ricomparsi anche due diverticoli dell’Appia Antica, uno trasversale, l’altro in direzione parallela, con tratti del caratteristico basolato in selce della strade romane, che per la loro limitata larghezza dovevano essere di servizio interno al fondo (fig. 2).

    2. Scavi archeologici nella valle di Ariccia, detta Vallericcia (foto F. Petrucci, 19 gennaio 2021)

    Sono visibili anche due piccoli archi in muratura – uno perpendicolare all’Appia, l’altro parallelo -, di epoca imprecisata e sicuramente successiva (XVI-XVIII secolo), che davano accesso ad ambienti sotterranei, forse per il ricovero di attrezzi o prodotti agricoli.

    Si tratta di un’area limitrofa all’Appia Antica non toccata dalle campagne di scavo archeologico che interessarono la vallata tra XVIII e XIX secolo,[3] dato che nel sito era presente una vecchia costruzione rurale con pianta ad “L”, formante angolo tra via di Mezzo e l’Appia, parzialmente crollata a seguito di un incidente stradale nel 2018 e poi demolita. Tale manufatto compare nella mappa catastale  di Ariccia del 1819 e in successive planimetrie, compresa la pianta archeologica del Florescu del 1925 (fig. 3, 4, 5).[4]

    3. Edificio rurale tra la via Appia Antica e la via di Mezzo, ad Ariccia, demolito nel 2018
    4. Pietro Oggioni, Mappa catastale di Ariccia, 1819, Archivio di Stato di Roma
    5. Gr. Florescu, Pianta archeologica di Ariccia, 1925

    Adiacente allo scavo è presente un maestoso arco in muratura a blocchi lavorati di peperino, sovrastato da fastigio a volute con cippo piramidale datato 1708, recante sul fregio l’iscrizione “IOANES ANTONIVS DE MATTEIS”, che documenta la proprietà del capitano Giovanni Antonio Mattei, priore di Ariccia nel 1704 (fig. 6).[5]

    Nella seconda metà del ‘700 la vigna, “piantata tutta sopra antiche rovine”, apparteneva al Barone d’Aste, come ricordava lo storico locale Emmanuele Lucidi nel 1796. Qui era stata ritrovata nel 1779 una lapide con iscrizione, cui era annesso un bassorilievo con due consoli e due figure stanti di barbari, riferita alla Gens Valeria, probabile antica proprietaria del fondo.[6]

    Mentre nel tratto precedente dell’Appia Antica scendendo a valle dalla cosiddetta “Tomba degli Orazio e Curiazi” nel territorio di Albano, probabile Sepolcro di Marco Azio Balbo come ho cercato di dimostrare (fig. 7),[7] sono presenti varie tombe ed edifici sepolcrali, subito dopo la prima Porta Urbica di accesso al Forum Aricinum, prossima all’area oggetto di scavo, sorgevano edifici a destinazione pubblica, religiosa e di accoglienza.

    7. Sepolcro di Marco Azio Balbo, detto Tomba degli Orazi e Curiazi (I sec. a.C.), Albano Laziale (foto F. Petrucci)
    6. Portale della vigna Mattei, poi d’Aste, ad Ariccia (foto F. Petrucci, 19 gennaio 2021)

    Di tale perduta Porta Urbica, “dirimpetto alla porta del Parchetto”, parla il Lucidi, osservando che all’epoca se ne conservavano solo lunghi blocchi di peperino. L’altra porta di accesso al Foro, più avanti nella valle verso Genzano, nota come “Basto del Diavolo”, è ancora conservata, sebbene parzialmente e inspiegabilmente interrata, dato che sottoterra ancora è presente la pavimentazione della strada consolare, come mostra una vecchia foto (fig. 8).[8]

    Le fondazioni dei manufatti rinvenuti nello scavo individuano piccoli ambienti rettangolari e contigui, posti parallelamente all’Appia Antica, forse riferibili a Tabernae o negozi a destinazione commerciale per il passaggio dei viandanti, che dovevano essere tipologicamente simili a quelli dei Mercati Traianei. Potevano anche esserci strutture funzionali al cambio dei cavalli o comunque un’area di servizio, tipo Casa del Viaggiatore, trovandosi all’ingresso nel Foro.

    Infatti esattamente in questa zona, a pochi metri dal vicino portale del “Parchetto Savelli” (a sinistra scendendo nella valle, oggi sommerso dalla vegetazione), fu rinvenuto nel 1891 il XVI miliario della via Appia risalente ai tempi di Massenzio – come registrò il Lanciani -, che fu portato subito dopo nel Parco Chigi, ove ancora si trova (fig. 9).[9]

    Ad Aricia, proprio in questo punto, c’era infatti il primo cambio di cavalli da Roma, prima Statio della Regina Viarum, e dovevano sorgere osterie, stazioni di posta e servizi al viaggiatore.

    Tra questi il celebre Hospitio modico ricordato da Orazio nel suo viaggio da Roma a Brindisi (Satire, lib. I, V, 35 a.C.), ove si fermò a dormire con il dotto retore greco Eliodoro, poi identificato con la cosiddetta Osteriaccia, poco più avanti lungo l’Appia.

    8. Porta Urbica, detta “Basto del Diavolo”, ad Ariccia (foto Marco Antonini, 1980)
    9. Età di Massenzio, XVI° Miliario dell’Appia Antica. Ariccia, Parco Chigi (foto F. Petrucci, 19 gennaio 2021)
    FRANCESCO PETRUCCI  Ariccia, 20 gennaio 2021

    NOTE

    [1] E. Valentini, Ariccia, spuntano da un cantiere i resti della città antica sull’Appia, “Il Messaggero”, 18 maggio 2021, con intervista al Sindaco Gianluca Staccoli.
    [2] M. Lilli, Ariccia, Carta archeologica, Erma di Bretschneider, Roma 2002.
    [3] Per le campagne di scavo ad Aricia cfr. R. Lefevre, Le antichità di Ariccia. Scavi e ritrovamenti archeologici dal XVIII al XX secolo, Roma 1977.
    [4] Cfr. Il Caffè, rivista online, 13 maggio 2018. L’incidente era avvenuto il giorno precedente. La costruzione è visibile nella “Pianta archeologica di Ariccia” pubblicata da G. Florescu, Aricia. Studio storico-topografico, in “Ephemeris Daco-romana. Annuario della Scuola Romena di Roma”, III, 1925, pp. 1-57.
    [5] Sull’arco Mattei cfr. M. Leoni, Notizie storico-archeologiche su Ariccia. Mito-Leggenda-Storia, Ariccia 2008, fig. p. 42; F. Petrucci, Ariccia, in Museum with no frontiers, web-site. Sul Mattei cfr. R. Lefevre, Storia e storie dell’antichissima Ariccia, Ariccia 1996, p. 81.
    [6] E. Lucidi, Memorie storiche dell’antichissimo municipio ora terra dell’Ariccia…, Roma 1796, pp. 213-214; R. Lefevre, 1977, p. 15.
    [7] Cfr. F. Petrucci, Il Mausoleo di Marco Azio Balbo più noto come “Sepolcro degli Orazi e Curiazi”, in “Lazio ieri e oggi”, anno LV, 4-6 (625), aprile-giugno 2019, pp. 161-177. Il sepolcro, un unicum nell’architettura romana, è ispirato ai nuraghi della Sardegna di cui Marco Azio Balbo fu pretore (in particolare al nuraghe di Barumini), inoltre nei pressi furono ritrovati iscrizioni degli Azii e il monumento è di età tardo-repubblicana, compatibile con l’epoca in cui visse il magistrato romano, padre di Azia madre di Augusto, possibile committente del monumento.
    [8] E. Lucidi, 1796, pp. 23, 213.
    [9] R. Lanciani, Il XVI termine miliario dell’Appia, in “Bull. Comm. Arch. Com.”, 1891, p. 329; R. Lefevre, 1977, p. 60; P. Bassani, F. Petrucci, Itinerario nel Parco Chigi, Ariccia 1995, p. 20; M. Lilli, 2002, p. 365, n. 5; M. V. Vincenti, Il XVI miliario della Via Appia, in pp. 93-94.

    Articolo pubblicato anche su: www.aboutartonline.com

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